giovedì 6 dicembre 2018

Una democrazia al 25%?



Si avvicinano le elezioni europee, e cominciano a fioccare i programmi. Lasciamo perdere il fatto che saranno tutti indistintamente dimenticati mezz'ora dopo la chiusura delle urne e soffermiamoci un attimo su quello del nuovo raggruppamento politico messo insieme dall'ex ministro delle Finanze del governo Tsipras Gianīs Varoufakīs che, forse per primo in Europa, elenca fra i suoi progetti quello di varare una legge per portare in Parlamento un quarto dei membri tramite sorteggio.




Il politico-economista non spiega come in pratica pensa di estrarre a sorte quelle persone "tra l'intero corpo dei cittadini europei" e, se il fatto che questo metodo di scelta dei rappresentanti sia stato messo nero su bianco in un programma elettorale ci rallegra sicuramente, i dubbi sulla faciloneria della proposta così come le perplessità circa la sua utilità sono grandi come montagne. Come già quello di Beppe Grillo di qualche mese fa, il progetto pecca di quelle ingenuità che anche noi abbiamo attraversato all'inizio del nostro percorso verso la proposta di passaggio a una reale democrazia.
Su cosa pensiamo di queste introduzioni "timide" del sorteggio nella vita politica ci siamo già espressi in un precedente post del quale ci limitiamo qui a riportare poche frasi:

Il limite della proposta dello showman è duplice, da una parte perché vuole applicare una metodologia democratica come il sorteggio a un'istituzione oligarchica come il parlamento. (...) Dall'altra, perché propone di fare, per il momento, solo un "primo passo", limitando al Senato i selezionati per sorteggio. Abbiamo affrontato l'argomento sul nostro saggio, presentando la proposta di Democrazia Davvero:
Conosciamo i nostri polli, e abbiamo già visto troppi tentativi ed esperienze di democratizzazione essere accettati, assorbiti, digeriti, snaturati e poi espulsi dagli squali della “politica professionale”. Per le oligarchie al potere le cose vanno bene così come sono, e i cambiamenti sono per loro accettabili solo se assicurano più potere, non certo se rischiano di ridurlo o addirittura eliminarlo. Ogni “passo a metà” che i professionisti della politica dovessero accettare, sarebbe immediatamente seguìto da una serie di azioni tese a minimizzare e squalificare l’esperimento, per poter dire: “Vedete, non funziona, è inutile, è controproducente... servono i migliori per governare un paese. I cittadini comuni non sono capaci di farlo” (...) e quand’anche apportasse qualche minimo miglioramento al funzionamento del sistema, darebbe solo modo ai politici eletti di sostenere che, sì, c’era bisogno di un correttivo, e visto che ora tutto funziona perfettamente, meglio non rischiare ulteriori cambiamenti. In attesa dell’occasione di liberarsi una volta per tutte dell’indesiderato “corpo estraneo”.

Dunque, caro Varoufakīs, accogliamo la tua proposta politica come tutte le altre: tenendoci alla larga dal rito finto-democratico delle elezioni.




martedì 4 dicembre 2018

UNA DEMOCRAZIA PER IVAN ILLICH



Si è tenuto sabato e domenica, a Livorno, nella sfarzosa cornice della Sala degli Specchi del Museo Fattori, il dodicesimo Convivio dedicato alla figura e al pensiero di Ivan Illich, importante figura di libero pensatore anarchico.

Noi lo abbiamo scoperto in questa occasione e, invitati a contribuire a ricordarlo - aggiornandone la riflessione - abbiamo studiato alcune sue opere e preparato (a quattro mani) l'intervento qui sotto che è stato letto con l'abituale nitidezza e passione da Maila Nosiglia.




Democrazia e convivialità
Dice Ivan Illich nel suo saggio “La convivialità”: “Il rapporto conviviale, sempre nuovo, è opera di persone che partecipano alla creazione della vita sociale.» 

“La società conviviale è una società che dà all'uomo la possibilità di esercitare l'azione più autonoma e creativa, con l'ausilio di strumenti meno controllabili da altri.
La scelta austera dello strumento conviviale è garanzia d'una libera espansione dell'autonomia e della creatività umane.
Allorché agisco in quanto uomo, mi servo di strumenti. A seconda che io li padroneggi o che viceversa ne sia dominato, lo strumento mi collega o mi lega al corpo sociale. Nella misura in cui io padroneggio lo strumento, conferisco al mondo un mio significato; nella misura in cui lo strumento mi domina, è la sua struttura che mi plasma e informa la rappresentazione che io ho di me stesso. Lo strumento conviviale è quello che mi lascia il più ampio spazio e il maggior potere di modificare il mondo secondo le mie intenzioni."
"Ma - continua Ivan Illich - lo strumento è conviviale nella misura in cui ognuno può utilizzarlo, senza difficoltà, quando e quanto lo desideri, per scopi determinati da lui stesso. L'uso che ciascuno ne fa non lede l'altrui libertà di fare altrettanto; né occorre un diploma per avere il diritto di servirsene. Tra l'uomo e il mondo, lo strumento conviviale è conduttore di senso, traduttore di intenzionalità.” E qui finiscono le citazioni.

Una struttura istituzionale può essere conviviale, cioè massimizzare la libertà della persona o no. Marcello Toninelli e io abbiamo percepito, a un punto della nostra vita, che qualsiasi cosa noi avessimo fatto in questo sistema non sarebbe servita a niente, perché questo sistema è fatto per digerire, inglobare, trasformare qualsiasi energia, poiché gli strumenti, per dirla con Illich, sono non più maneggiabili, ma manipolabili. Qualsiasi cosa facessimo, “quell'energia naturale prodotta da chiunque mangi o respiri”, viene scientemente trasformata, nell'attuale sistema, in energia esogena (cioè esterna all'organismo umano).
Lo strumento maneggiabile richiama l'uso conviviale. Dice ancora Ilich: “Ma se l'istituzione ne riserva l'uso a un monopolio professionale, eseguibile dai soli specialisti, non solo perverte l'uso dello strumento maneggiabile, ma subito gli sostituisce lo strumento manipolabile”. Comincia allora il regno delle manipolazioni.

Ciò che oggi noi chiamiamo Democrazia è di fatto il regno della manipolazione. Da dove nasce la Democrazia moderna?
Al momento di scegliere una nuova forma di governo dopo che le rivoluzioni americana e francese avevano spazzato via il precedente sistema feudale, di una cosa erano certi proprietari terrieri, commercianti e notabili che si apprestavano a prendere le redini del potere strappato a monarchi e aristocratici: occorreva impedire l'instaurarsi di qualsiasi forma di democrazia. Sembra strano ma è così. Lo testimoniano le parole dei cosiddetti “padri fondatori”.
“La democrazia è il più odioso, il più sovversivo e, per il popolo stesso, il più nocivo dei sistemi politici.” (Antoine Barnave, politico e oratore francese, componente dell'Assemblea Nazionale Costituente).
“Considerate che una democrazia non dura mai a lungo. Essa non tarda ad appassire, s’esaurisce e causa la sua propria morte. Non c’è ancora mai stata una democrazia che non si sia suicidata.” (John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti d'America e primo vicepresidente. Padre fondatore degli Stati Uniti d'America)
Ma si è anche convinti che “Esiste una specie di aristocrazia naturale fondata sul talento e la virtù.” (Thomas Jefferson). Questo è ciò di cui ancora oggi molti sono convinti.

Dunque, non si poteva né si doveva prendere in considerazione alcuna forma di governo assembleare, né tantomeno strumenti che ancora oggi fanno sobbalzare come l' estrazione a sorte dei rappresentanti, la temporaneità, la rotazione e la non ripetibilità degli incarichi. Consapevoli dell'importanza della posta in palio, i nuovi detentori del potere non cedettero di un passo: il sistema di governo oligarchico basato sulla rappresentanza e le elezioni era quello che rispondeva in modo perfetto alle esigenze della trionfante borghesia affaristica. Beffardamente, permetteva di controllare il popolo nel momento in cui se ne proclamava la sovranità.


L'acuta riflessione di uno dei maggiori pensatori della Rivoluzione francese, Benjamin Constant, riconosceva candidamente che in questo modo: “la sovranità è rappresentata, e questo significa che l’individuo è sovrano solo in apparenza; e se a scadenze fisse, ma rare, (...) esercita questa sovranità, è solo per abdicarvi.” Gli facevano eco Alexis de Tocqueville che parlando della democrazia diceva :“In un sistema del genere i cittadini escono per un momento dalla dipendenza, per designare i loro padroni, e poi vi rientrano.” Ma anche Jean-Jacques Rousseau scriveva:“Il popolo inglese pensa di essere libero, ma si sbaglia ampiamente, non lo è che durante l’elezione dei membri del Parlamento; appena sono eletti, lui torna schiavo, non è niente.”


Solo in un secondo momento a questo sistema di governo “dei pochi”, nato per impedire qualsiasi forma di democrazia, si cominciò ad associare l'aggettivo “democratico”, complice il citato Tocqueville, autore del saggio “La democrazia in America”. In effetti almeno un paio di elementi di reale democrazia erano (e sono ancora oggi) presenti negli USA. I più importanti sono i town meeting e le giurie popolari nei tribunali, istituzioni che ben conosce chi ha seguìto i serial televisivi. Resta il fatto che anche negli Stati Uniti il sistema di governo principale è quello prettamente oligarchico scelto a suo tempo dalla borghesia in antitesi a possibili governi democratici, e non basta qualche modesto elemento di democrazia (quale può essere in Italia l'istituto del referendum abrogativo) a cambiarne la natura: è come mettere un solitario porcino in una grande padellata di funghi non commestibili; anche se nell'aria ci sarà un vago sentore di porcini, dopo mangiato si dovrà comunque correre in bagno o all'ospedale per una lavanda gastrica.


Dalla reale natura dei governi occidentali (ma non sono stati e non sono meno oligarchici i governi cosiddetti “comunisti”, dall'Unione Sovietica alla Repubblica Popolare Cinese) nascono i problemi dell'attuale politica, e dall'inganno di aver appiccicato l'etichetta di democrazia a quella che ormai anche Eugenio Scalfari ammette essere nella sostanza un'oligarchia, deriva la difficoltà di immaginare un sistema alternativo di governo. Mentre è proprio questo che, a parer nostro, dobbiamo cercare: un sistema alternativo di governo. Lo stesso fondatore di Repubblica si barrica dietro questa giustificazione: o oligarchia (naturalmente “democratica”) o dittatura. Tertium non datur. Ma negli ultimi anni una possibile “terza via” si è invece delineata nelle analisi di molti studiosi e grazie alle pratiche di democrazia deliberativa sperimentate nel frattempo in innumerevoli Paesi: sondaggi deliberativi, consensus conferences, giurie di cittadini, planungszelle ecc.

Secondo il politologo francese Yves Sintomer, i modelli paternalisti fondati su una delega cieca ai professionisti della politica sono sempre più messi in discussione. Nella “società della conoscenza” e dei social network non è più credibile pensare che un qualsiasi “attore” possa, da solo, rappresentare l’interesse generale. In questo senso, la politica istituzionale è in grave ritardo, e l’ormai debordante corruzione dei partiti politici aggrava il quadro. Sostiene lo studioso Syntomer, appunto: “Il governo rappresentativo ha finito per attribuire il potere sostanziale a una élite, un’aristocrazia eletta ma che si autoriproduce ampiamente e viene reclutata all’interno di ristrette cerchie sociali. Per fortuna, intorno le cose si muovono velocemente e un tema come l’estrazione a sorte dei rappresentanti ha ormai un’eco che, se pur resta minoritaria, certamente non è più marginale. Quello che si può sperare, è che un insieme di attori dagli scopi eterogenei finisca per approdare a delle reali innovazioni. Ciò che è chiaro, è che occorrerebbe dar vita a un processo costituente per cambiare le logiche del sistema e non contentarsi di riforme marginali”. 

Rifondare la democrazia, ripensarla, in maniera rivoluzionaria, rodesciando cioè il punto di vista. La soluzione c'è. Basta avere il coraggio di cambiare strada. Ripetiamo con Ivan Illich: ”Lo strumento è conviviale nella misura in cui ognuno può utilizzarlo, senza difficoltà..... né occorre un diploma per avere il diritto di servirsene.“ 

Sono ormai molte le proposte per superare l'impasse dell'oligarchismo imperante e passare a una reale democrazia. Tra queste, la più articolata e razionale è sicuramente quella studiata da David Van Reybrouck (“Contro le elezioni”, Feltrinelli) insieme allo studioso statunitense Terrill Bouricius. I due prevedono una completa riarticolazione dell'architettura istituzionale eliminando quelle esistenti e propongono di ricorrere, come nell’antica Atene, all’estrazione a sorte non per una sola istituzione, ma per diverse di esse in modo da andare a costituire un sistema di freni e contrappesi nel quale un corpo sorteggiato sorvegli l’altro. Un'architettura di questo genere, come si vede, metterebbe fine all'esistenza dei partiti e a tutto quello che essi comportano: carrierismo, lotte di potere, corruzione...

Sappiamo che non è semplice. Del resto Mark Twain diceva: “è più facile ingannare la gente che convincerla di essere stata ingannata”. Ma noi ripetiamo ciò che abbiamo detto all'inizio citando Ivan Illich: la società conviviale è una società che dà all'uomo la possibilità di esercitare l'azione più autonoma e creativa, con l'ausilio di strumenti meno controllabili da altri. La scelta austera dello strumento conviviale è garanzia d'una libera espansione dell'autonomia e della creatività umane". Questo deve essere l'obiettivo.

Coloro che detengono oggi il potere, è evidente, tenteranno in ogni modo di ostacolare qualsiasi proposta che, portando a una reale democrazia, li spazzerebbe via una volta per tutte. Ma questo non ci spaventa: come recita un proverbio messicano “proveranno a seppellirci, ma non sanno che siamo semi.”



giovedì 18 ottobre 2018

Le interessate analisi di un presunto giornalista


Forse è naturale che ognuno di noi, leggendo un testo, veda quello che vuole vedere e lo interpreti di conseguenza. Augias, erettosi da tempo a difensore dell'attuale sistema di governo (che anche Eugenio Scalfari, fondatore del giornale per cui lavora, ammette ormai essere una oligarchia, ma il buon Corrado sembra non saperlo) e in particolare del Partito Democratico di cui il suo datore di lavoro possiede la tessera n. 1, piega il contenuto del libro di Canfora ("La scopa di don Abbondio") esaminato in questo video a condanna dei partiti populisti tanto invisi a lui e al suo datore di lavoro.


Non abbiamo letto il libro di Canfora, ma già il passaggio (leggibile nel video) "L'odierna paralisi italiana (...) è il segnale più chiaro della fine della democrazia politica otto-novecentesca, e al tempo stesso prova che il moto dell'eterno fascismo - come lo definì Eco - non dà segni di esaurimento" ci sembra dire cose diverse da quelle che vuol fargli dire Augias.
Il fatto che l'autore metta tra virgolette "democrazia politica" dovrebbe suggerire al recensore di Repubblica che Canfora non la ritiene tale. Come riportiamo nel nostro "Democrazia davvero", il saggista (vedi il suo “Critica della retorica democratica”) dice infatti che “è improprio definire democrazia un sistema politico nel quale il voto è merce sul mercato politico, e l’ingresso nel Parlamento comporta una fortissima spesa elettorale da parte dell’aspirante rappresentante del popolo. Questo rattristante (sul piano etico prima ancora che democratico) aspetto, fondante, del sistema parlamentare resta per lo più in ombra. Il ceto politico esprime tendenzialmente le classi medio alte e abbienti.” Denunciando poi come ormai le decisioni importanti in materia economica vengano prese direttamente dagli organismi tecnici e dai vertici industriali e finanziari (di cui, guarda caso, fa parte l'editore di Repubblica, aggiungiamo noi) mentre i politici si inventano ogni giorno un tema etico su cui dibattere all’infinito per intrattenere (e distrarre) la popolazione. Canfora precisa ancora che si è instaurata una translatio imperii che rende inutili, se non come esecutori delle decisioni prese altrove, gli organismi politici sia delle singole nazioni che del Parlamento Europeo e non può più essere nascosta dietro la retorica delle elezioni quale strumento di governo popolare.


Ridurre il pensiero dello studioso a banale presa di posizione contro i "populisti", cioè gli avversari del suo datore di lavoro, è decisamente disonesto. Anche perché, in realtà, il pericolo di ritorno del fascismo (ammesso che sia mai possibile, in una situazione socio-economica così diversa da quella degli anni Venti e Trenta del Novecento: oggi industria e soprattutto finanza spadroneggiano liberamente e non c'è più nessun "pericolo rosso" da cui difendersi) non viene da singoli partiti o pseudo-movimenti, ma dalla natura stessa dei partiti in genere. Come scriveva già alla metà del secolo scorso Simone Weil, in Appunti sulla soppressione dei partiti politici”: 1) un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva; 2) un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte; 3) il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per via di questa (...) caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.”


Alla luce di questa difficilmente confutabile lettura, il fascismo e il nazismo non ci appaiono più come una degenerazione della politica “democratica”, ma soltanto come il risultato della capacità di Benito Mussolini e Adolf Hitler di portare i propri partiti a prevalere tomskijanamente su quelli che li circondavano. Duce e führer non erano due mostri finiti per caso nell’agone politico, ma il frutto diretto e d’eccellenza della natura dei partiti. 

Risulta dunque una inutile perdita di tempo dibattere secondo le proprie convenienze su pregi e difetti di questa o quella formazione politica. L'unica via d'uscita (l'unica!) dall'attuale pantano e da pericoli di rigurgiti totalitaristici è l'approdo a una reale democrazia. Come, lo spieghiamo dettagliatamente nel nostro saggio.


mercoledì 29 agosto 2018

Il sorteggio timido


Se non possiamo che ringraziare Beppe Grillo per aver gettato il tema del sorteggio come una grossa pietra nello stagno delle acque morte della politica, dobbiamo constatare che - ahimè - i cerchi concentrici causati dall'impatto non vanno più in là di alcune delle timide proposte già prese in esame (e superate) nel nostro libro.
Due esempi di queste timorose "aperture" le troviamo su L'Espresso (grazie all'amico Stefano Casini per avercele segnalate: confessiamo di non leggere più da anni il settimanale del gruppo editoriale di De Benedetti, tessera n.1 del Partito Democratico, e dunque editore quantomai di parte in tema di sistema di governo, di cui il suo collaboratore Eugenio Scalfari non cessa di decantare i meriti pur riconoscendone la natura oligarchica), e le potete leggere nelle foto che riportiamo qui sotto.



L'autore (a noi ignoto) del primo articolo definisce l'uscita di Grillo "un po' troppo grillina" e sentenzia che non si possono abolire le elezioni "sostituendole con una partita a dadi". La sortition, secondo lui, usata come correttivo può servire a rivitalizzare i Parlamenti, ma non sia mai che ne "bruci l'anima"! Accetta perciò, bontà sua (e del suo datore di lavoro, evidentemente), che si affidino a una rappresentanza di cittadini estratti a sorte le funzioni nelle quali i parlamentari sono in evidente conflitto d'interessi (cause d'ineleggibilità e incompatibilità, legge elettorale, misura delle indennità di senatori e deputati...), e che una piccola (attenti a non esagerare!) quota di cittadini sorteggiati vada a integrare la composizione delle Camere.


Va un po' più oltre Michele Ainis, che dimostra quantomeno di conoscere la Storia della Democrazia e l'uso che del sorteggio (e non solo) è già stato fatto in passato. D'altronde non è la prima volta che si esprime sull'argomento. L'aveva già fatto in tempi non sospetti sulle pagine del più importante quotidiano italiano, come abbiamo relazionato nel nostro saggio:

Il costituzionalista Michele Ainis, Professore Ordinario di Diritto Pubblico alla facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre, nell’articolo Per una politica meno distante occorre una Camera dei cittadini” apparso sul Corriere della Sera il 2 gennaio 2012 sottoscrive l’idea di istituire una Camera formata per sorteggio con funzioni di stimolo e controllo sulla Camera elettiva. Questo, secondo lo studioso, dovrebbe diminuire il potere delle segreterie politiche e restituire valore alla rappresentanza che oggi esclude i giovani, le donne e i disoccupati. Ma in fondo siamo tutti esclusi, da questo Parlamento, chiosa Ainis sottolineando come quella del sorteggio non sia proprio un’idea bislacca, ma stia anzi prendendo piede in tutto il mondo, quantomeno nelle esperienze di governo municipale. Pensiamoci a fondo,” conclude il costituzionalista, “prima di gettare queste idee nel cestino dei rifiuti. Non è forse un’aristocrazia quella da cui siamo governati? Una Camera di cittadini sorteggiati (...) aiuterebbe le nostre istituzioni a trasformarsi nello specchio della società italiana. (...) Se l’utopia è il motore della storia, adesso ne abbiamo più che mai bisogno per continuare la nostra storia collettiva”.

Ainis si spinge dunque a suggerire che un'intera Camera sia composta di cittadini estratti a sorte. Sicuramente una proposta già più avanzata di quelle del solerte giornalista su citato, ma a nostro parere ancora insufficiente a cambiare realmente lo stato delle cose e mettere fine alle storture sempre crescenti di un sistema politico che sta dimostrando ormai tutti i suoi vizi e limiti. Citiamo ancora dal nostro studio:

Conosciamo i nostri polli, e abbiamo già visto troppi tentativi ed esperienze di democratizzazione essere accettati, assorbiti, digeriti, snaturati e poi espulsi dagli squali della “politica professionale”. Per le oligarchie al potere le cose vanno bene così come sono, e i cambiamenti sono per loro accettabili solo se assicurano più potere, non certo se rischiano di ridurlo o addirittura eliminarlo. Ogni “passo a metà” che i professionisti della politica dovessero accettare, sarebbe immediatamente seguìto da una serie di azioni tese a minimizzare e squalificare l’esperimento, per poter dire: “Vedete, non funziona, è inutile, è controproducente... servono i migliori per governare un paese. I cittadini comuni non sono capaci di farlo”. In un contesto che già oggi vede entrambe le Camere del Parlamento svuotate di fatto di qualsiasi potere decisionale, passato nelle mani del Presidente del Consiglio e del suo Governo, a loro volta manovrati dalla sovrastruttura europea e dai centri di potere industrial-finanziario, figuriamoci che possibilità di intervento reale potrebbe avere una Camera dai “poteri circoscritti”! Servirebbe al massimo per essere esibita come foglia di fico “democratica”, e quand’anche apportasse qualche minimo miglioramento al funzionamento del sistema, darebbe solo modo ai politici eletti di sostenere che, sì, c’era bisogno di un correttivo, e visto che ora tutto funziona perfettamente, meglio non rischiare ulteriori cambiamenti. In attesa dell’occasione di liberarsi una volta per tutte dell’indesiderato “corpo estraneo”.
Ma noi abbiamo visto qual è la natura del sistema oligarchico e quale quella dei partiti, strumento specifico della rappresentanza selezionata tramite elezioni, e ci è chiaro che le cose non cambieranno finché elezioni e partiti non saranno stati eliminati dalla vita politica. Se, come sostiene Paolo Flores D’Arcais, serve “un movimento di opinione” che faccia di questa riforma un suo convinto cavallo di battaglia, perché darsi tanta pena solo per avere una minoranza di estratti a sorte in Parlamento e non cambiare invece in modo radicale la natura stessa del sistema approdando - finalmente - a una vera forma di democrazia che veda i cittadini, ogni cittadino e cittadina, essere di volta in volta governàti e governanti? 


venerdì 13 luglio 2018

Nostalgie epistocratiche



Nelle ultime settimane affiora sempre più, nel dibattito (nel chiacchiericcio?) politico sui giornali e in rete un bisogno crescente di avere al governo politici "competenti". E' l'antico sogno del Governo dei Migliori, il desiderio di essere governati da "uomini dotati di molta saggezza per ben discernere, e molta virtù per perseguire il comune bene della società; e, in secondo luogo, di prendere le precauzioni più efficaci affinché essi si mantengano onesti per tutto il periodo in cui durerà il loro mandato", come si legge nel n. 57 dei Federalist Papers di fine Settecento. Un governo dei genere viene definito "epistocratico", cioè un governo dei "competenti". L'ipotesi torna alla ribalta anche nel libro di Jason Brennan "Contro la democrazia".



L'autore, dopo aver analizzato impietosamente l'attuale sistema di governo dei principali paesi occidentali e non solo, propone di sperimentare una forma di governo “epistocratica” che sia compatibile con parlamenti, elezioni e libertà di parola, ma distribuisca il potere politico in proporzione a conoscenza e competenza. Nella prefazione al volume, il giurista Sabino Cassese dice che questa cosa era in qualche modo in vigore finché le elezioni erano svolte sulla base del censo (e riservate ai maschi, naturalmente; all'epoca, le donne politicamente erano equiparate ai poveracci indipendentemente dalla loro condizione sociale ed economica: comunque inadatte a dire la loro sulla conduzione di un Paese) ma oggi, con il sopravvenuto suffragio universale, non più praticabile. Anche se. Cassese, da buon conoscitore della Costituzione, ci rivela che una piccola scappatoia a tanto universalismo, in realtà, la nostra Carta la contiene. Citiamo:

(...) la Costituzione prevede che la Repubblica abbia il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono l’“effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Quindi, la Costituzione assume che vi siano diseguaglianze di diverso ordine che ostacolano l’effettiva partecipazione politica. I due problemi sollevati dalla dissimmetria, quello dei cittadini non educati e quello dei delegati non competenti, sono stati notati presto dagli osservatori. Ad esempio, John Stuart Mill, nelle Considerazioni sul governo rappresentativo, distingueva cittadini attivi e passivi, sia per cultura politica, sia per interesse. E James Burnham e Jean Meynaud affacciavano nelle loro opere la possibilità che al governo fossero chiamati dei tecnici (tecnocrazia). Di fatto, per circa un secolo, il vuoto creato dal suffragio universale, che non assicura la scelta secondo kratos, aretè ed episteme insieme, è stato riempito da un altro sistema di formazione e di selezione: gli stati hanno delegato il compito di superare le diseguaglianze tra i cittadini, ai fini della partecipazione politica, ai partiti, che hanno svolto il compito di “palestra” per la “Bildung” e la selezione dei candidati. I partiti politici, quindi, hanno supplito gli stati in un compito essenziale, quello di portare persone capaci e con esperienza alla guida di quella macchina complessa che sono oggi i poteri pubblici. Ma, a un certo punto, anche i partiti sono venuti meno, si sono “liquefatti”. 

Cassese, ritenendo che nel nostro sistema i poteri si controllino a vicenda e siano in parte frutto di elezioni e in parte del risultato di appositi concorsi, non condivide del tutto la teoria di Brennan per la quale "parlamenti, elezioni in concorrenza e libertà di parola sono compatibili con un regime epistocratico" e "l’unica differenza sarebbe che i cittadini non avrebbero eguale diritto di votare e di essere votati" (insomma, l'istituzione di una specie di patente dell'elettore e del candidato). Il giurista è convinto che ci sia comunque spazio per una ulteriore "epistocratizzazione" della politica. Sfruttando l’articolo 48 della Carta che pur ponendo accurati limiti a questa possibilità (esso dispone che “il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicata dalla legge”), apre contemporaneamente due spiragli: proprio quello della incapacità civile e quello della riserva di legge finale. E anche se "oggi il suffragio universale è il meccanismo principale per dare legittimità al governo e non se ne può fare a meno, requisiti ulteriori di candidabilità possono essere disposti, insieme ad azioni positive che diano un contenuto al principio di eguaglianza in senso sostanziale".
In pratica, ci pare di capire, in attesa che ogni cittadino e cittadina si acculturi e sia dunque in grado di votare e candidarsi in modo "competente"... mettiamo pure 'ste benedette patenti.

Se serve un governo di "competenti", però, tanto vale eliminare del tutto le elezioni e attuare la proposta che avevamo provocatoriamente avanzato nelle more delle ultime elezioni politiche: scegliamo parlamentari e ministri tramite concorso pubblico!
Naturalmente a noi tutte le considerazioni dei Brennan e dei Cassese, essendo figlie dell'equivoco che continua a considerare democrazia quella che è una tipica oligarchia, ci sembrano ben poco utili per portare un reale cambiamento; al massimo possono rendere un po' più "presentabile" l'attuale sistema in modo da continuare a lasciare cittadine e cittadini fuori dal governo dei loro Paesi. Scusateci, ma preferiamo una reale democrazia.




mercoledì 4 luglio 2018

Democrazia nero su bianco


Ne avevamo già parlato in un precedente post. Oggi abbiamo in mano una copia cartacea della bella rivista diretta da Giuliana Sias che, in questo numero, ospita l'articolo di Toninelli sull'argomento del nostro saggio.
Vi mostriamo qui sotto qualche pagina di U!magazine (cliccate sulle immagini per ingrandirle).







Per chi fosse interessato, U!magazine si può acquistare sul sito della rivista.


lunedì 2 luglio 2018

L'idea comincia a passare


Generalmente, gli articoli che in questi giorni sono stati scritti sulla "sparata" di Grillo in merito alla possibilità di sostituire alle elezioni il sorteggio dei parlamentari si limitano a riportare le dichiarazioni del comico genovese o poco più. Dichiarazioni che sono, più o meno, un copia-incolla dello spettacolo di Brett Hennig. Qualche testata si è dimostrata più professionale, mettendo del suo per meglio spiegare l'argomento ai lettori. Tra queste il Foglio che in un servizio ricostruisce seppur brevemente la storia della democrazia (quella reale, non l'attuale oligarchia verniciata da "governo del popolo") risalendo all'Antica Grecia e al sistema ateniese della Boulé che i nostri lettori ben conoscono e passando per il sistema delle balòte in uso nella Venezia dei Dogi (anche se sarebbe forse stato più corretto citare la Firenze comunale).


E aggiunge poi che: "sia pure per le ragioni sbagliate, allora, Grillo potrebbe aver indicato un’opzione meno bislacca di quanto potesse sembrare – e una strada che, semmai imboccata, finirebbe per spazzar via le pretese di trasparenza e furtivo egualitarismo che hanno propiziato l’ascesa del M5S. Da un lato, infatti, se l’obiettivo che perseguiamo è quello di far sì che la composizione dei rappresentanti rispecchi quella dei rappresentati e che – uno vale uno – ogni cittadino possa contribuire al governo del paese, è difficile immaginare un sistema più funzionale del sorteggio: sarebbero le leggi implacabili della statistica – magari col sussidio della frequente rotazione delle cariche, caratteristica tipicamente associata alla selezione causale – a garantire una corrispondenza pressoché perfetta tra i nominati e il gruppo di riferimento. Dall’altro, se – come detto – la selezione elettorale non riesce (più) ad assicurare la qualità degli eletti, è improbabile che l’ipotetica introduzione del sorteggio finisca per restituire un panorama ancor più desolante: tra complottisti, antivaccinisti, signoraggisti e sciroccati di varia estrazione, la legislatura in corso ha portato alla ribalta i politici più mediocri e impreparati dell’intera storia repubblicana."
Come si vede la riflessione sull'argomento (anche se con gli inevitabili limiti di un primo approccio, per i quali rimandiamo al nostro precedente post) comincia a fare lentamente breccia nel dibattito giornalistico-politico. E ogni goccia è comunque acqua per il mulino di una reale democrazia. 




giovedì 28 giugno 2018

Il Grillo sorteggiante




Beppe Grillo è un sostenitore del sorteggio, in politica. Sull'argomento si era già espresso brevemente (e in modo ironico) qualche anno fa. Citiamo dal nostro saggio: 

In Italia troviamo invece Beppe Grillo tra i sostenitori del sorteggio. Secondo lo showman-politico “l’estrazione a sorte ha il vantaggio di eliminare i costi delle campagne elettorali. (…) L’estrazione dovrebbe essere gestita da un pool di magistrati con la consulenza di Collina. Avremmo dipendenti al posto di politici, politica al posto di interessi personali.” 
Oggi, sul suo blog (che ha staccato da quello del Movimento Cinque Stelle) ritorna a occuparsi della questione con una proposta più articolata. Scrive il comico genovese:

"...questo sistema è rotto, non funziona, ma non avendone un altro migliore non ci resta che capire cosa non funziona. Io un'idea ce l'ho, il suo nome tecnico è sortition. Ma il suo nome comune è selezione casuale. L'intuizione è di un certo Brett Hennig (foto sotto; potete vedere qui un suo video con le stesse idee riportate nel post di Grillo). L'idea è molto semplice: selezioniamo le persone a sorte e le mettiamo in parlamento."




Come sa chi ci segue, Hennig non è certo il primo a pensarci (il suo libro, inedito in Italia, è del 2017. "Contro le elezioni di "David Van Reybrouck del 2013). Nel nostro saggio abbiamo elencato una decina di diverse proposte per utilizzare il sorteggio in politica. Quella di Grillo prevede "un primo passo": "un Senato dei cittadini", cioè una camera su due per la quale "la selezione dovrebbe essere equa e rappresentativa del Paese. Il 50% sarebbero donne. Molti sarebbero giovani, alcuni vecchi, altri ricchi, ma la maggior parte di loro sarebbe gente comune. Sarebbe un microcosmo della società." Questo "significherebbe la fine dei politici e della politica come l'abbiamo sempre pensata".

Il limite della proposta dello showman è duplice, da una parte perché vuole applicare una metodologia democratica come il sorteggio a un'istituzione oligarchica come il parlamento. E' nostra convinzione che un nuovo metodo di governo richiederebbe anche istituzioni diversamente articolate. Ne abbiamo parlato qui. Dall'altra, perché propone di fare, per il momento, solo un "primo passo", limitando al Senato i selezionati per sorteggio. Abbiamo affrontato l'argomento sul nostro saggio, presentando la proposta di Democrazia Davvero:


Diciamolo chiaramente: riteniamo assolutamente perniciosa questa prudenza.

Conosciamo i nostri polli, e abbiamo già visto troppi tentativi ed esperienze di democratizzazione essere accettati, assorbiti, digeriti, snaturati e poi espulsi dagli squali della “politica professionale”. Per le oligarchie al potere le cose vanno bene così come sono, e i cambiamenti sono per loro accettabili solo se assicurano più potere, non certo se rischiano di ridurlo o addirittura eliminarlo. Ogni “passo a metà” che i professionisti della politica dovessero accettare, sarebbe immediatamente seguìto da una serie di azioni tese a minimizzare e squalificare l’esperimento, per poter dire: “Vedete, non funziona, è inutile, è controproducente... servono i migliori per governare un paese. I cittadini comuni non sono capaci di farlo”. In un contesto che già oggi vede entrambe le Camere del Parlamento svuotate di fatto di qualsiasi potere decisionale, passato nelle mani del Presidente del Consiglio e del suo Governo, a loro volta manovrati dalla sovrastruttura europea e dai centri di potere industrial-finanziario, figuriamoci che possibilità di intervento reale potrebbe avere una Camera dai “poteri circoscritti”! Servirebbe al massimo per essere esibita come foglia di fico “democratica”, e quand’anche apportasse qualche minimo miglioramento al funzionamento del sistema, darebbe solo modo ai politici eletti di sostenere che, sì, c’era bisogno di un correttivo, e visto che ora tutto funziona perfettamente, meglio non rischiare ulteriori cambiamenti. In attesa dell’occasione di liberarsi una volta per tutte dell’indesiderato “corpo estraneo”.



Dunque, mentre siamo felici che Grillo, con tutto il peso della sua capacità di comunicazione (il suo articolo, che potete leggere per intero qui, è stato immediatamente ripreso da stampa e telegiornali, oltre a essere subito rimbalzato sul web), abbia rimesso sul tavolo il tema del sorteggio, lo invitiamo in tutta modestia ad approfondire meglio l'argomento, se non ha intenzione di bruciarlo e farlo spazzare via da chi ha tutto l'interesse a lasciare le cose come stanno.

martedì 26 giugno 2018

I limiti di Augias


Tra le letture che Corrado Augias consiglia in video dalla versione online di Repubblica c'è anche il libro di Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale, "La Democrazia e i suoi limiti".
Gli unici limiti che appaiono a noi dalla breve presentazione sono quelli dei due succitati. il costituzionalista, inevitabilmente compreso nel suo ruolo e conseguentemente convinto che la nostra Carta sia uno strumento democratico, asserisce di conseguenza che "la democrazia è un limite del potere". Evidentemente non legge neppure Scalfari che ammette ormai apertamente la natura oligarchica del nostro sistema di governo, altrimenti capirebbe che la (pseudo) democrazia è in realtà uno strumento saldamente nelle mani del potere, strumento adottato scientemente all'indomani delle rivoluzioni americana e francese per limitare casomai le possibilità dei cittadini di fare in prima persona le scelte di governo.


"I partiti", aggiunge l'esperto costituzionalista, "strumento della democrazia, (...) devono essere democratizzati a loro volta, per garantire che al loro interno si rispettino le regole democratiche e che non diventino una minaccia per la democrazia".


Finché continua l'equivoco sulla reale natura oligarchica di quella che ci hanno insegnato beffardamente a chiamare democrazia, qualsiasi riflessione in merito risulta inevitabilmente fuorviata: i partiti non possono essere democratizzati, in quanto strumento oligarchico per eccellenza (Simone Weil ne auspicava la soppressione già più di settant'anni fa). Al punto che quella che Cassese chiama "minaccia per la democrazia", a una corretta lettura della realtà appare un approdo inevitabile e ricorrente per il sistema dei partiti. Citiamo dal nostro saggio:

"Il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite. Per via di questa (...) caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.”  (Weil) 

Alla luce di questa difficilmente confutabile lettura, il fascismo e il nazismo non ci appaiono più come una degenerazione della politica “democratica”, ma soltanto come il risultato della capacità di Benito Mussolini e Adolf Hitler di portare i propri partiti a prevalere tomskijanamente su quelli che li circondavano. Duce e führer non erano due mostri finiti per caso nell’agone politico, ma il frutto diretto e d’eccellenza della natura dei partiti.

"Democratizzare" i partiti, dunque, è un ossimoro. Essi, funzionale strumento oligarchico, marciano inevitabilmente verso approdi totalitari. Un tempo con l'ingenua complicità delle masse, militanti e votanti, oggi con modalità prettamente leaderistiche. Citiamo ancora da "Democrazia davvero":

La situazione attuale vede prevalere un nuovo tipo di partito politico, quello che lo studioso tedesco esule negli Stati Uniti Otto Kirchheimer, definisce “pigliatutto”. Figlio delle mutazioni sociali ed economiche intervenute in Occidente negli ultimi decenni (diffusione del benessere, declino delle ideologie, diminuzione dei conflitti, ruolo accresciuto dei mezzi di comunicazione), il partito “pigliatutto” appare interessato soltanto ad attirare ed estendere in modo indifferenziato il proprio elettorato. A questo scopo punta quasi esclusivamente sulla leadership, scaricando la zavorra di iscritti e militanti, annacquando i propri programmi e rendendosi permeabile come mai prima all’influenza del potere economico.


Augias e Cassese, per l'esame di (reale) Democrazia dovete studiare ancora un po'.





sabato 16 giugno 2018

Proposte per il futuro



La rivista U!Magazine dedica buona parte del suo quarto numero alle proposte per un rinnovamento radicale della politica. Tra le quali, la nostra.
Invitato a parlare del progetto di Democrazia Davvero, Marcello Toninelli ha scritto un lungo articolo, di cui riportiamo qui la parte iniziale:

Al momento di scegliere una nuova forma di governo dopo che le rivoluzioni americana e francese avevano spazzato via il precedente sistema feudale, di una cosa erano certi proprietari terrieri, commercianti e notabili che si apprestavano a prendere le redini del potere strappato a monarchi e aristocratici: occorreva impedire l'instaurarsi di qualsiasi forma di democrazia. 
Lo testimoniano le parole dei “padri fondatori”.
La democrazia è il più odioso, il più sovversivo e, per il popolo stesso, il più nocivo dei sistemi politici.” (Antoine Barnave)
Considerate che una democrazia non dura mai a lungo. Essa non tarda ad appassire, s’esaurisce e causa la sua propria morte. Non c’è ancora mai stata una democrazia che non si sia suicidata.” (John Adams)
La Francia non è e non deve essere una democrazia. (…) Il popolo, lo ripeto, in un paese che non è una democrazia (e la Francia non saprebbe esserlo), il popolo non può parlare, non può agire che per mezzo dei suoi rappresentanti.”( Emmanuel Joseph Sieyès)
Esiste una specie di aristocrazia naturale fondata sul talento e la virtù.” (Thomas Jefferson) 
Dunque, non si poteva né doveva prendere in considerazione alcuna forma di governo assembleare, e nemmeno gli altri strumenti ereditati dalla democrazia ateniese che pure avevano dato buona prova in passato a Firenze e in altri Comuni italiani come nelle città spagnole della Corona d'Aragona: estrazione a sorte dei rappresentanti e temporaneità, rotazione e non ripetibilità degli incarichi.Consapevoli dell'importanza della posta in palio, i nuovi detentori del potere non cedettero di un passo:il sistema di governo oligarchico basato sulla rappresentanza e le elezioni era quello che rispondeva in modo perfetto alle esigenze della trionfante borghesia affaristica. Beffardamente, permetteva di controllare il popolo nel momento in cui ne proclamava la sovranità.
Benjamin Constant riconosceva candidamente che in questo modo: “la sovranità è rappresentata, e questo significa che l’individuo è sovrano solo in apparenza; e se a scadenze fisse, ma rare, (...) esercita questa sovranità, è solo per abdicarvi”. Gli facevano eco Alexis de Tocqueville (“In un sistema del genere i cittadini escono per un momento dalla dipendenza, per designare i loro padroni, e poi vi rientrano.”) eJean-Jacques Rousseau (“Il popolo inglese pensa di essere libero, ma si sbaglia ampiamente, non lo è che durante l’elezione dei membri del Parlamento; appena sono eletti, lui torna schiavo, non è niente.”).
Solo in un secondo momento a questo sistema di governo “dei pochi”, nato per impedirequalsiasi forma di democrazia, si cominciò ad associare l'aggettivo “democratico”, complice il citato Tocqueville, autore de “La democrazia in America”. In effetti almeno un paio di elementi di reale democrazia erano (e sono ancora oggi) presenti negli USA. I più importanti sono i town meetinge le giurie popolari nei tribunali, istituzioni che ben conosce chi haseguìto serialtelevisivi di successo come “Una mamma per amica”o “Law and order”.Resta il fatto che anche negli Stati Uniti il sistema di governo principale è quello prettamente oligarchico scelto a suo tempo dalla borghesiain antitesia possibili governi democratici, e non basta qualche modesto elemento di democrazia (quale può essere in Italia l'istituto del referendum abrogativo) a cambiarne la natura: è come mettere un solitario porcino in una grande padellata di funghi non commestibili; anche se nell'aria ci sarà un vago sentore di porcini, dopo mangiato si dovrà comunque correre in bagno o all'ospedale per una lavanda gastrica.
Dalla reale natura dei governi occidentali (ma non sono stati e non sono meno oligarchici i governi “comunisti”, dall'Unione Sovietica alla Repubblica Popolare Cinese) nascono i problemi dell'attuale politica...

Potete leggere il seguito, insieme agli altri interventi, sulla rivista (acquistabile qui). Naturalmente, per chi ha letto il nostro saggio o segue abitualmente questo blog, non c'è niente di nuovo. Per tutti gli altri può rappresentare un interessante "assaggio" per cominciare a riflettere sull'attuale situazione politica e sulle vie d'uscita, pacifiche quanto rivoluzionarie, che il nostro progetto propone. 


Il libro è in vendita in formato ebook sulle principali librerie online, e in versione cartacea su Amazon... che però ogni tanto lo segnala esaurito anche se ancora disponibile. In quel caso inviate un'email a: democraziadavvero@tiscali.it e ve lo invieremo direttamente.

A che serve un presidente?

Con la grancassa di giornali e tivù (e inevitabili riverberi sui social) sta andando in onda l'elezione del presidente della repubblica....