venerdì 4 maggio 2018

Il Fini non giustifica la democrazia


Che il nostro sistema di governo basato su Parlamento, partiti ed elezioni non abbia niente di democratico sono in tanti a dirlo, e già da lungo tempo. Massimo Fini, saggista e giornalista (L'Europeoil Giornol'Indipendenteil Fatto Quotidiano) conduceva un'analisi rigorosa quanto demistificante di quella che continuano a spacciarci per Democrazia già in un suo libro del 2004, "Sudditi - Manifesto contro la Democrazia".




Fin dalla presentazione di copertina l'autore spiega che "la democrazia reale, quella che concretamente viviamo, non corrisponde a nessuno dei presupposti su cui afferma di basarsi. È un regime di minoranze organizzate, di oligarchie politiche economiche e criminali che schiaccia e asservisce l'individuo, già frustrato e reso anonimo dal micidiale meccanismo produttivo di cui la democrazia è l'involucro legittimante." 
E, all'interno del libro, continua: "La democrazia rappresentativa, liberale, borghese, insomma la democrazia reale come la conosciamo e la viviamo, e che è attualmente egemone, non è la democrazia. È una finzione. Una parodia. Un imbroglio. Una frode. Una truffa. Noi la definiamo in modo brutale (...) un modo per metterlo nel culo alla gente col suo consenso."
Ancora:
"Noi paghiamo della gente perché ci comandi."
"La legittimità del potere democratico non è diversa da quella del potere regale, carismatico o tradizionale o di qualsiasi altro tipo. Nel senso che non esiste."
A sostegno della sua affermazione cita Flaubert ("Nessun potere è legittimo, nonostante i loro sempiterni principi. Ma siccome principio significa origine, bisogna riferirsi sempre a una rivoluzione, a un atto violento, a un fatto transitorio. Così il principio del nostro è la sovranità nazionale, intesa nella forma parlamentare... ma in cosa mai la sovranità nazionale sarebbe più sacra del diritto divino? Sono finzioni, l'una e l'altra.") e Stuart Mill ("Il potere stesso è illegittimo, il miglior governo non ha più diritti del peggiore.").
Per vie (e letture) diverse Fini approda alle stesse conclusioni del nostro saggio, almeno per quanto riguarda la natura del sistema liberale sedicente democratico: "Nata sulla spinta di un sano pragmatismo si è trasformata in un'ideologia radicale. Commette gli stessi, tragici, errori del comunismo diventando, come quello, un universalismo che, in quanto tale, non può che farsi totalitario. Ma va anche più in là. Si comporta come una religione." 
Poi cita Bobbio"Oserei dire che l'unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito, o credono di aver capito che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza danni."
Sui partiti, l'autore argomenta: "I partiti non sono l'essenza della democrazia, ne sono la fine. Come notava Max Weber, fino al 1920 le Costituzioni degli stati democratici non li prendevano nemmeno in considerazione. In realtà nessuna democrazia rappresentativa è una democrazia, ma un sistema di minoranze organizzate che prevalgono sulla maggioranza dei cittadini singolarmente presi, soffocandoli, limitandone gravemente la libertà e tenendoli in condizione di minorità. È un sistema di oligarchie o di poliarchie come preferisce chiamarle, pudicamente, Sartori."
Lo studioso ha anche un blog, dove scrive: "...in democrazia il più forte ha strumenti così sofisticati e subdoli (economici, finanziari, mediatici, lobbies) che è pressoché impossibile combatterlo e non sarà certo l’infilare una scheda in un urna a cambiare le cose. Ci vorrebbe una rivoluzione. Ma la Storia ci insegna anche che nemmeno le rivoluzioni (francese, russa, fascista) cambiano le cose, perché a una classe dominante se ne sostituisce quasi immediatamente un’altra."

Sebbene non arrivi a concepire, come ha fatto David Van Reybrouck e noi con lui, la possibilità di una reale democrazia basata sui principi che regolavano quella ateniese rivista alla luce delle recenti esperienze di democrazia deliberativa, sempre nel suo blog Fini propone comunque una "sua" Costituzione rivista e corretta (che potete leggere qui) prendendo in considerazione, all'art. 3, l'utilizzo del sorteggio:
"Il Premier è scelto con sorteggio fra cittadini in età compresa fra i 30 e i 70 anni in possesso di diploma superiore. Sono ineleggibili i soggetti che siano stati condannati per reati dolosi o che, al momento del sorteggio, siano sotto procedimento per lo stesso tipo di reati. Il Premier resta in carica cinque anni. Il mandato può essere replicato per una sola volta."




Naturalmente, la stessa esistenza di un "Premier" fa rientrare dalla finestra quello che lo studioso ha cercato di buttare fuori dalla porta. E nel "Manifesto" che apre il suo blog in effetti sembra voler fare a meno di qualsiasi figura di "rappresentante del popolo":
NO alla globalizzazione né di uomini né di capitali né delle merci né dei diritti.
NO al capitalismo e al marxismo, due facce della stessa medaglia, l'industrialismo.
NO alla mistica del lavoro, di derivazione tanto capitalista che marxista.
NO alla democrazia rappresentativa.
NO alle oligarchie politiche ed economiche.
SI all'autodeterminazione dei popoli.
SI alle piccole patrie.
SI al ritorno, graduale, limitato e ragionato, a forme di autoproduzione e autoconsumo.
SI alla democrazia diretta in ambiti limitati e controllabili.
SI al diritto dei popoli di filarsi da sè la propria storia, senza pelose supervisioni umanitarie.
SI alla disobbedienza civile globale, se dall'alto non si riconosce più l'intangibilità della sovranità  degli stati, allora è diritto di ciascuno di noi non riconoscersi più in uno stato.
L'ideale di Fini, in realtà, è quello dei Nuer:
Che ci sia un potere sopra le nostre teste lo diamo come irreversibile, ma farebbe inorridire o sbellicare dalle risa un Nuer. I Nuer sono un popolo nilotico che vive, o meglio viveva, nelle paludi e nelle vaste savane dell’odierno Sudan meridionale. Un Nuer non solo non paga nessuno perché lo comandi, ma non tollera ordini da chicchessia. I Nuer infatti non hanno capi e nemmeno rappresentanti. “E’ impossibile vivere fra i Nuer e immaginare dei governanti che li governino. Il Nuer è il prodotto di un’educazione dura ed egalitaria, profondamente democratico e facilmente portato alla violenza. Il suo spirito turbolento trova ogni restrizione irritabile; nessuno riconosce un superiore sopra di sé. La ricchezza non fa differenza…Un uomo che ha molto bestiame viene invidiato, ma non trattato differentemente da chi ne possiede poco. La nascita non fa differenza…Ogni Nuer considera di valere quanto il suo vicino”. Così li descrive l’antropologo inglese Evans-Pritchard che, negli anni Trenta, visse fra loro a lungo e li studiò. Un miracolo? O, quantomeno, un’eccezione? Non proprio. Si tratta infatti di una di quelle “società acefale”, di quelle “anarchie ordinate” nient’affatto rare nel Continente Nero prima della dominazione musulmana con le sue leggi religiose incompatibili con la libertà e, soprattutto, prima che arrivassimo noi con la nostra democrazia teorica, in salsa liberale o marxista, funzionale alla nostra economia, che ha completamente distrutto l’equilibrio su cui si sostenevano le popolazioni africane e l’Africa stessa. Queste società erano riuscite a coniugare libertà e uguaglianza, due poli apparentemente inconciliabili su cui i figli dell’Illuminismo, i liberali e i marxisti, si accapigliano da un paio di secoli facendo elaborazioni raffinatissime ma senza cavare un ragno dal buco. Il fatto è che i Nuer, o tutte le società consimili, pensano, proprio come Locke, uno dei padri della democrazia liberale, che gli uomini nascano, per natura, liberi, indipendenti e uguali. Ma questo nel mondo liberale o marxista non è mai avvenuto e tuttora non è. 

In fondo, per governare qualcosa di un po' più complesso di un villaggio, forse anche ai Nuer non dispiacerebbe il nostro progetto di reale democrazia.

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